Andrea Prospero è morto in diretta mentre era in chat con un ragazzo 18enne di Roma, ora agli arresti domiciliari, conosciuto on line e mai incontrato di persona, che l’avrebbe indotto a suicidarsi con suggerimenti su come farla finita. Lo stesso 18enne secondo la ricostruzione degli inquirenti avrebbe potuto salvarlo ma non ha chiamato l’ambulanza mentre Prospero accusava i primi malori.
Il commento di Giuseppe Lavenia, Presidente dell’Ordine degli Psicologi delle Marche e dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, sul triste caso di cronaca.
Andrea cercava aiuto. Ha trovato un boia. Si è aperto, ha mostrato le sue ferite sperando in un po’ di conforto, ma dall’altra parte dello schermo c’era chi ha preferito affondare ancora di più la lama. Quando ha esitato, quando ha detto “non ho il coraggio”, nessuno lo ha fermato. Anzi, qualcuno gli ha detto come farlo.
Oggi ci indigniamo. Ci chiediamo come sia stato possibile. Ma è successo perché il web è un’arena dove il dolore diventa uno spettacolo, la sofferenza un gioco di ruolo, la morte un’opzione discussa con la leggerezza di un consiglio su cosa indossare. Andrea non ha trovato chi lo salvasse perché online l’empatia è un’illusione: le parole scorrono veloci, ma nessuno guarda negli occhi chi sta male.
Il problema non è la tecnologia. Il problema è un’intera generazione che cresce imparando a comunicare con gli emoji, ma non a riconoscere il dolore di chi ha davanti.
La tecnologia si basa sulle emozioni, ma non sui sentimenti. Può amplificare rabbia, paura, tristezza, ma non insegna a prendersi cura dell’altro. E così, dietro uno schermo, un ragazzo può morire e l’unica reazione di chi lo ha istigato è la paura di essere scoperto, non il rimorso.
Ecco perché dobbiamo rendere obbligatoria l’educazione all’affettività nelle scuole. Non possiamo più permetterci ragazzi che sanno tutto sui social, ma niente sulle relazioni umane. Se non impariamo a metterci nei panni dell’altro nella vita reale, continueremo a essere incapaci di farlo anche nel digitale. E diventeremo sempre più soli, sempre più indifferenti, sempre più pericolosi gli uni per gli altri.
Perché il vero problema non è internet. È che ci stiamo dimenticando cosa significhi essere umani. Ecco perché serve un numero di emergenza sempre attivo, un luogo
dove chi è in difficoltà possa chiedere aiuto e trovare una voce che sappia rispondere.
Perché Andrea non doveva morire. E perché nessun altro debba sentirsi mai più solo come lui.