Eleonora Duse lesse con molta attenzione gli scrittori russi. Avrebbe voluto inserire nel suo repertorio i drammi più vicini alla sua introspezione esistenziale. Oltre a Cechov che approfondì con uno scavo teatrale psicologico e a Pushkin con il quale si immerse nella sua poetica erano sul suo cammino sia Tolstoj che Dostoevskij. Il Tolstoj di quella povera gente che inizia un viaggio sino a raggiungere la confessione della resurrezione.
Soprattutto Dostoevskij lo avvertiva sui suoi passi con i personaggi dell’inquietudine e dell’ironia dolorante. Avrebbe voluto portare sulla scena le donne, con il loro tragico vivere l’esistenza, che abitano la temperie umana dell’Idiota. Un dramma nel tragico. Ma era la letteratura russa con i suoi tempi e le meditazioni che affascinava Eleonora sia nel suo cammino di donna che sulla scena.
D’altronde aveva attentamente studiato Gor’kij dei “I bassifondi” ed era parte integrante del suo repertorio. Sui palcoscenici italiani aveva assunto il titolo “L’albergo dei poveri” e venne rappresentato, se pur in solo due appuntamenti, nel 1905. Sia in Francia con la compagnia di Aurélien Luiginé-Poë al Théâtre de l’OEuvre di Parigi sia al Manzoni di Milano con la Compagnia Talli-Gramatica-Calabresi.
La relazione tra Eleonora e la cultura russa fu fondamentale. Seguitissima come attrice in quelle città e soprattutto a San Pietroburgo dove le file degli spettatori per assistere ad una sua rappresentazione erano immense. Fu un mito in Russia.
Il suo modello di recitazione, il suo porsi in scena, la sua malinconia di attrice e la sua intelligenza percettiva di capo comica la rendono in quei teatri ancora di più divina e sublime. Vi porta l’innovazione della recita ma soprattutto dell’attore moderno.
L’attore personaggio che decodifica il ruolo del protagonista che, se pur non amato dal teatro russo, incarna una centralità fondamentale: la presenza. Ovvero la possibilità di espressione con una evidente sottolineatura della fisicità. Recitare con il corpo più che con le parole. Infatti lei recitava in lingua italiana ma era la gestualità che sottolineava il vero linguaggio.
Eleonora non era soltanto l’attrice, il personaggio in scena, la teatrante. Era sempre lei: Eleonora Duse.
Nella lettera a Konstantin Stanislavskij Eleonora ebbe a sottolineare: “Nel suo teatro ho attinto nuovamente alla verità e alla poesia. La poesia e la verità sono le sorgenti piu profonde per la sostanza della nostra arte e per l’anima dell’artista”.
La Russia del teatro a questo guardava. Lei ha ripagato questa devozione non saltando mai una replica. Anzi sempre con maggiore impegno ogni replica era come la prima. Una attrice italiana nel cuore della cultura russa.