Fra archeologia e costume: la Congrega degli arguti (1)

È noto che l’ironia è da sempre la chiave con cui i romani reagiscono ai soprusi, alle ingiustizie, alle paure e alla vita in generale. La famosa satira romana, che non teme i potenti, può essere considerata una sorta di social network ante litteram: infatti fin dal XVI sec. a Roma, nottetempo, su diverse sculture antiche sparse per la città, venivano affissi veri e propri “post” di denuncia e sberleffo al potere, messaggi anonimi contenenti per lo più critiche e satire contro i governanti, ma anche poesie e dialoghi umoristici.

Si tratta delle cosiddette pasquinate, dal nome della più nota delle sculture utilizzate come “bacheca”, che venivano definite nel loro insiemela “Congrega degli arguti, meglio note come statue parlanti: la Madama Lucrezia, il Marforio, il Pasquino, il Babuino, l’Abate Luigi e il Facchino.

Queste sei statue, i cui nomi sono frutto della fantasia popolare, rispettavano una sorta di gerarchia sociale nelle loro esternazioni, come riportato dal giurista tedesco Theodor Sprenger in Roma Nova del 1660.

“Pasquino ha due concorrenti, uno il Facchino di Via Lata,

l’altro il Marforio sul Campidoglio.

Pasquino è destinato ai nobili,

Marforio ai cittadini,

il Facchino alla plebe”.

Partiamo dalla più nota, il Pasquino, sulla quale non è raro trovare ancora oggi irriverenti messaggi di denuncia. Risulta costituita da frammenti di un gruppo marmoreo nel quale sono stati individuati Aiace che sorregge il corpo morente di Achille o Menelao che sorregge Patroclo, copia di un gruppo ellenistico pergameno databile al III sec. a.C. e facente parte della ricca decorazione scultorea dello stadio di Domiziano, sui resti del quale si è innestata la vicina piazza Navona.

Statua cosiddetta del Pasquino, Roma

Venuta alla luce nel 1501 durante gli scavi per la ristrutturazione di Palazzo Orsini, oggi Braschi, fu salvata dal cardinale Oliviero Carafa che vi abitava e che la volle sistemata nell’angolo in cui ancora oggi si trova, con l’aggiunta dello stemma dei Carafa e di un cartiglio celebrativo.

L’origine del nome è controversa: secondo alcuni sarebbe da attribuire al nome di un artigiano del rione famoso per i suoi motti; secondo altri ad un ristoratore della piazza presso il cui locale venne ritrovata, piuttosto che a un professore di grammatica latina, con il quale gli studenti avrebbero ravvisato una somiglianza, lasciando i primi foglietti satirici.

Nonostante fossero proibite e punite con pene severissime, alcune “pasquinate” sono divenute celebri come quelle indirizzate alla Pimpaccia, donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, l’odiata cognata di papa Innocenzo X o quella riferita a papa Urbano VIII Barberini che depredò molte opere antiche per i suoi scopi personalistici:

Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini

(Quello che non fecero i barbari, fecero i Barberini).

O ancora quella comparsa in occasione della visita di Adolf Hitler a Roma, quando furono nascoste le miserie della città con pannelli di cartone:

“Povera Roma mia de travertino,

t’hanno tutta vestita de cartone,

pe’ fatte rimira’ da ‘n’imbianchino”

Domani continueremo il nostro viaggio fra le statue parlanti, alla scoperta dell’irriverenza romana.

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