Roma. A tu per tu con l’artista. Nell’atelier di Vincenzo Scolamiero

Entrando nell’atelier di Vincenzo Scolamiero si viene subito inondati dalla luce e travolti dalle molteplici sensazioni che le sue opere restituiscono immediatamente: grandi tele dai colori forti e dai tratti decisi ci trasportano in un mondo di bellezza e poesia.

Ciò che colpisce immediatamente è l’ordine meticoloso con cui il maestro conserva i suoi strumenti: pennelli di ogni dimensione da lui stesso costruiti allineati sul lungo tavolo da lavoro si alternano ad opere in fieri, contenitori dai mille colori coabitano armonicamente con una moltitudine di elementi naturali e oggetti di ogni tipo, librerie affollate di testi di arte e di poesia, il tutto in un insieme armonico e di grande impatto. Un luogo molto affascinante a metà fra la bottega e la galleria d’arte dove il maestro accoglie i suoi visitatori con disponibilità e autentica gioia di condivisione.

Vincenzo Scolamiero nasce nel 1956 a Sant’Andrea di Conza, in provincia di Avellino, dove si nutre sin da bambino, come lui stesso ci racconta, del fascino degli affreschi che ammira alle pareti e sui soffitti della casa avita e della figura del nonno materno Francesco D’Angola, apprezzatissimo scultore, scomparso poco prima della sua nascita.

Dopo il diploma in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Roma, dove risiede ormai da molti anni, inizia la sua attività artistica partecipando a numerose mostre personali e rassegne espositive di carattere nazionale e internazionale, riscuotendo ovunque grande successo. Contemporaneamente intraprende la carriera di insegnante di pittura presso l’Accademia dove egli stesso ha studiato, spendendosi con grande passione per la formazione dei giovani allievi.

D: Maestro, appena varcata la soglia del tuo studio colpisce immediatamente l’ordine e l’armonia che vi regna, nonostante la gran quantità di oggetti presenti.

R: Per me l’ordine è fondamentale perché il mio studio rappresenta non solo il posto dove lavoro, ma anche un luogo dove riflettere, pensare, leggere, studiare.

Gli oggetti, naturali e non, che mi circondano sono oggetti che seleziono e raccolgo ovunque perché fungono da elementi catalizzatori per giocare con lo spazio e mi aiutano ad elaborare processi di trasformazione della materia, una sorta di processo alchemico che si innesca a contatto diretto con le cose che nascono a una seconda vita.

D: Un’altra cosa che attira l’attenzione sono i pennelli di innumerevoli forme e dimensioni costruiti da te utilizzando legnetti e altri materiali, una sorta di medium fra la natura e l’arte.

R: Costruire i pennelli e creare i colori mi permette di stabilire un sistema di “relazioni affettive” con le cose e assorbire le sensazioni che mi restituisce il mondo emotivo che mi circonda.

D: La tua arte è stata messa in relazione con gli haiku, i componimenti poetici nati in Giappone a partire dal XVII sec, una delle forme più semplici e sincere della poesia giapponese, molto amata da autori moderni come Rainer Maria Rilke, che raccontano con poche parole le emozioni delle stagioni, la precarietà dell’uomo e la magia della quotidianità.

R: Amo molto Rilke e la poesia in generale, che costituisce per me una grande fonte di ispirazione attraverso l’esplorazione della possibilità che dall’osservazione del minimo reale si possa tendere verso un massimo di incanto emozionale. È un costante punto di riferimento, in cui trovo echi e sonorità fondamentali e sono convinto che il fare pittura non sia diverso dal fare poesia.

D: Un artista colto e sensibile, amante anche della musica con la quale hai un rapporto molto intenso.

R: Sin da subito ho sentito il bisogno di legarmi artisticamente ad un mondo così complesso, completo e affascinante come quello musicale, cercando di ricostruire con la pittura quel campo emozionale e sensibile che la musica in massima parte restituisce.

D: Nel 2016 in collaborazione con la compositrice Silvia Colasanti hai sviluppato un progetto molto interessante attraverso la realizzazione della copertina e delle immagini di accompagnamento del suo requiem Stringeranno nei pugni una cometa in onore delle vittime del terremoto del centro Italia, rappresentato al 60° Festival di Spoleto.

R: Con Silvia condivido il modo di intendere il percorso artistico, basato sull’idea di comunione fra l’arte contemporanea e le radici profonde della tradizione. La pittura delle pagine del Requiem è caratterizzata da grandi onde bianche di pittura, velature che si propagano con un ritmo a volte armonico e a volte bruscamente interrotto, suggerendo sia l’idea dello sviluppo musicale del Requiem sia il muoversi della terra in ondate telluriche cariche di terrore e di malinconia.

Sempre con Silvia ho successivamente realizzato un lavoro a 4 mani, un libro-opera edito in soli sette esemplari diversi uno dall’altro nella resa della pittura, in cui la sua composizione Ogni cosa ad ogni cosa ha detto addio, ispirata alla raccolta omonima di poesie di Valentino Zeichen, si fonde in un processo sinestetico con le mie rappresentazioni elaborate con inchiostri e colori acrilici.

La musica ha la capacità, oltre che di penetrare immediatamente e colpire l’essenza più intima dell’ascoltatore, di costruire forme nello spazio, dar vita ad iconografie mentali prolungate, visioni abissali con architetture, traiettorie, circonvoluzioni, scarti e dolcissime evocazioni ed io ricerco, attraverso il suo ascolto, le emozioni e le suggestioni che traduco in rappresentazione grafica.

Libropartitura “Ogni cosa ad ogni cosa ha detto addio“ – Della declinante ombra, Museo Carlo Bilotti, Roma 2019

D: Quali sono stati i tuoi maestri ispiratori?

R: Il mio primo importante incontro con il mondo della pittura è avvenuto grazie ad Enrico De Tomi, amico di Emilio Vedova, un colorista straordinario e uomo di grande

fascino, nella cui soffitta romana nei primi anni 70 ho passato lungo tempo: un incontro decisivo, il momento reale della scelta di campo. De Tomi è stato un riferimento importante, un modello umano più che stilistico.

Come autori maestri di riferimento sicuramente Mario Sironi e Francis Bacon al primo posto, insieme ad Alberto Giacometti e Giorgio Morandi, poi Soutine, Bonnard, Cezanne e i più vicini De Kooning, Afro, Vasco Bendini.

D: Per finire questa nostra piacevolissima ed interessante chiacchierata, ti chiedo di prenderci per mano ed illustrarci la tua opera.

R: Ho sempre cercato di costruire un’immagine che unisse il sentimento forte, propulsivo e drammatico delle pulsioni interiori e informi ad una definizione dell’immagine oggettiva con la sensibilità di un modus operandi quasi

calligrafico, nitido. La mia pittura parte sempre da immagini chiare e definite, da oggetti che mi circondano nello studio, modelli che dispongo nello spazio come

nature morte per costruire immagini contraddittorie, fluide, metamorfiche.

In fondo oggi più che mai, come dice la storica dell’arte Angela Vettese si ha una “necessità meticcia”, una forte necessità di integrazione dei messaggi.

Ringrazio di cuore il maestro Vincenzo Scolamiero per averci ospitato nel suo atelier e vi invito a visitare il suo sitowww.vincenzoscolamiero.com e perché no?! anche il suo affascinante studio che è visitabile in tutta sicurezza in piccoli gruppi su prenotazione: un modo per rimanere connessi con l’arte e la bellezza in un momento difficile in cui ne abbiamo maggiormente bisogno.

 

 

 

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