Francesca De Robertis porta il lettore nelle carte che raccontano la fine del Nolano, il filosofo che non volle ascoltare neppure un confortatore
“Majori forsan cum timore sententiam in me fertis, quam ego accipiam”. Avete più paura voi nel pronunciare la condanna che io nel riceverla. Disse così il ribelle, eretico pertinace Giordano Bruno, l’8 febbraio 1600, in casa del cardinale Ludovico Madruzzo, ascoltando l’esito del lungo processo a cui i cardinali Roberto Bellarmino, Santa Severa e gli altri inquisitori lo avevano costretto, non impedendogli di pensare oltre le sbarre del carcere di Castel Sant’Angelo, come quel filosofo ‘fantastico’ degli innumerevoli mondi aveva sempre fatto nella sua inquieta storia. In un documentatissimo saggio che è un punto fermo nella ricostruzione di tanti fatti storici, I documenti sulla morte di Giordano Bruno (il Mulino, pp. 230, euro 21), Francesca De Robertis – dottore di ricerca in Filologia classica nell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e in Storia moderna nella Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino – fa stato di una condanna destinata a restare un unicum non solo nella storia della Chiesa, colpevole di aver mandato a morte (nudo e legato a un palo) un uomo che volle sempre essere filosofo e non teologo, ma dell’intera vicenda del pensiero umano.
A lungo si è parlato di congiura del silenzio in merito alla morte del Nolano a causa della scarsità di documenti relativi al suo rogo, nonché del dominio quasi esclusivo di una testimonianza, la più controversa di tutte: una lettera di Kaspar Schoppe a Konrad Rittershausen, pubblicata per la prima volta nel 1621 in un pamphlet dal titolo Machiavellizatio, inserito in seguito nell’Index librorumprohibitorum. Tuttavia, a partire dalla fine del XIX secolo – dopo l’affaire Campo de’ Fiori – e fino agli anni più recenti, sono stati pubblicati ulteriori documenti sulla morte del domenicano di Nola, nato sotto più benigno cielo, di cui il volume offre una ragionata e fondata rassegna. L’analisi di tutte le fonti al momento disponibili consente di riannodare pezzi di storia, notizie e
Opera di Gennaro Vallifuoco
L’analisi dei documenti, infatti, va dalla lettera di Kaspar Schoppe a Konrad Ritterhausen al registro di San Giovanni Decollato, agli Avvisi di Roma (Urbinate latino) al documento sulla corrispondenza del duca Virginio Orsini, fino all’inglese Longleat Devereux Papers e alla testimonianza del conte di Ventimiglia (Memorie del capitano Giovan Battista
“Le ceneri di Giordano Bruno – annota la studiosa – furono con ogni probabilità disperse nel vento, nei pressi del Muro Torto o gettate nel Tevere”. La registrazione di consegna al Tribunale criminale di Roma, documento rinvenuto nel 2011 e studiato da Nuccio Ordine, mostra uno schizzo a inchiostro del condannato tra le fiamme. Nel disegno di mano notarile di nota una linea orizzontale sulla gola del reo, che lo studioso Germano Maifreda (autore di studi fondamentali anche sulla storia di fra Celestino da Verona) propone di interpretare come il borello o borelo, un collare impiegato per fissare il condannato al palo dell’esecuzione mantenendone il viso ricolto verso il pubblico. Interessante anche scoprire come il Conte di Ventimiglia fu un discepolo del Nolano (anzi Bruno stesso gli avrebbe raccomandato prima di morire di “seguire le sue gloriose pedate e di fuggire li pregiudizi e errori”).
Il silenzio si alzò, pesante, su quel rogo. Solo in Inghilterra la notizia giunse in modo tempestivo (su questi punti sono importanti le pagine di Michele Ciliberto e di Aniello Montano), ma poi la notizia arrivò, come un fioco di brave che accese altre luci. Una storia degli effetti che arriva ai nostri giorni.Ecco perché, tira le somme De Robertis, “allo stato attuale delle conoscenze sulla morte del Nolano, parlare ancora di congiura del silenzio non sembra corretto”, anche perché la documentazione in nostro possesso non è esigua.
Continua a spostare confini il pensiero di quell’eretico per il quale i mondi sono infiniti e anche i diavoli un giorno si salveranno. Il filosofo con un po’ di barbetta nera, barca mal’impeciata che tiene ancora il mare, ha insegnato che siamo gente in ricerca di “un pane diverso”, la conoscenza. Ha mostrato la forza della logica, “attissimo organo a la venazione della verità”, di quella verità che il tempo non arruga. Nella sua meravigliosa e sferzante commedia, il Candelaio, aveva scritto che “i porci qualche decembre me la pagheranno, io spero di ricovrare il lardo dove ho perso l’erba, si non sott’un mantello, sotto un altro, si non in una, in un’altra vita”. Ricordando di cogliere l’occasione di mettere un chiodo alla Fortuna, resta la sua infinita lezione di libertà, una stella più alta e forte di ogni rogo di intolleranza, perché le idee quando le lanci non le fermi più, come ha scritto Gustavo Raffi in merito al monumento senza tempo di Ettore Ferrari in Campo dei Fiori e sottolineando la dignitas hominis testimoniata dal Nolano, per il quale “l’importante non è arrivare primi, non è vincere il palio, ma correre con dignità”.
“Rimane ancora da spiegare – scrive De Robertis invitando ad altre avventure di ricerca – la mancanza di accenni a Bruno e alla sua tragica fine sul rogo nei carteggi di coloro che conobbero il filosofo in vita: pare verosimile ipotizzare, infatti, che nelle carte ancora non studiate e inedite dei dotti e degli intellettuali che lo incontrarono ed ebbero rapporti con lui in tutta Europa, possano essere rintracciate ulteriori menzioni di quanto accadde a Roma nel febbraio del 1600”. Sono ad esempio le carte conservate alla Bodleian Library di Oxford appartenute ad Alberto Gentili. Ma questa è già un’altra storia, perché l’ermeneutica della vita e del pensiero del Nolano riserva di continuo sorprese. Posate le ceneri, la pagina del Denken bruniano insegna che ogni punto è centro.