Siamo soliti pensare che, per attraversare la storia e i secoli, ciò che conta sia non essere dimenticati; eppure, la fama non è tutto, per citare parole note a tutti gli amanti del fantasy. In una terra già conosciuta ai tempi dei Romani per la produzione del vino, abbastanza quantomeno da regalarle un epiteto speciale, ovvero, “Vallis polis cellae” (terra delle molte cantine), fu proprio l’oblio a plasmare uno dei vini più amati al giorno d’oggi.
La leggenda narra, infatti, che un vinaiolo, dimenticatosi in cantina di una botte di Recioto, tornato ad assaggiarlo quando ormai la fermentazione era giunta a compimento, si trovò ad pronunciare la celebre frase “Questo non è Amaro, è Amaròn”. Chi invece, d’altra parte, si definisce amante più della Storia che delle storie, racconta qualcosa di differente, ovvero, che durante l’occupazione, i contadini, stanchi delle ruberie dei tedeschi, riuscissero a nascondere delle bottiglie di Recioto, e che queste prendessero nuova vita sempre grazie al temuto oblio. Qualunque sia la verità in merito alle sue origini, tuttavia, va evidenziato che oggi, in tutta la Valpolicella, si producono circa 14 milioni di bottiglie di Amarone e Recioto, e, a quest’ultimo, nato per essere protagonista, non rimane che vivere di luce riflessa.

Nel 1935 Carlo Roberto Meroni giunge in Valpolicella, “colmo” di quello che oggi chiameremmo talento imprenditoriale. Arrivava da Milano e l’azienda di famiglia era rinomata per la produzione di cappelli. Tuttavia, a Sant’Ambrogio (VR), nella Valpolicella classica, acquista una tenuta storica, nota almeno dal 1706, e si dedica anima e corpo al mondo del vino. Oggi l’azienda lavora solo con le proprie uve, produce all’anno circa cinquantamila bottiglie, per lo più destinate all’esportazione e copre 15 ettari: 11 dedicati al vino, mentre la parte restante accoglie uliveti e bosco. Il perché di questa scelta? Conservare, il più inalterati possibile, profumi e paesaggi tipici della vallata in cui sono ospitate le vigne. Inoltre, la vicinanza del bosco, aiuta a mitigare il calore del terreno che sempre più soffoca i vigneti, rilasciando la propria umidità durante la notte.
Oggi la cantina è guidata dal nipote del fondatore. Carlo percorre la strada della tradizione dedicandosi alle uve autoctone della zona rappresentate da Corvina, Corvinone e Rondinella. Nella sua ricetta, aggiunge ad esse anche ciò che oggi per il disciplinare non è più obbligatorio, ovvero la Molinara.
La vendemmia viene eseguita manualmente e, a sottolineare l’unicità di questa terra, essa si caratterizza in due fasi distinte. Durante la prima, che normalmente ha inizio intorno al 10 settembre, vengono raccolte le uve destinate alla produzione di Recioto e Amarone. Infatti, a meno che i grappoli non presentino particolari fragilità, queste vengono messe in appassimento adagiandole sulle relle. Questa struttura, costituita da canne di bambù, rappresenta un metodo di appassimento antico, sebbene, ad oggi, sia considerato ancora il miglior modo di condurre questo delicato processo. In un secondo momento vengono raccolte, invece, le uve che verranno utilizzate per i vini più giovani, uve che andranno poi subito in pigiatura.

Ed ecco i vini della cantina di Carlo. A partire dal vino più giovane, abbiamo il Valpolicella Classico; viene lasciato macerare per venticinque giorni e, successivamente, una parte invecchia cinque-sei mesi in botte di rovere, mentre la parte restante riposa in acciaio per il medesimo periodo. Successivamente le due parti vengono riunite in egual proporzione in bottiglia per terminare l’affinamento. Il suo colore è molto chiaro, tanto da stupire l’occhio abituato al rosso intenso, così come siamo soliti descriverlo attraverso la nostra grammatica dei colori. È amabile, molto profumato, goduto fresco ad aperitivo: accompagnato da una bruschetta, ricoperta da un cucchiaio di baccalà mantecato, risulta una bellissima scoperta.
Il Valpolicella Superiore presenta un colore più intenso, proprio quello che ci aspettiamo. E’ caratterizzato da un appassimento delle uve di circa 30 giorni, che si configura in una perdita di circa il 7-8% del peso iniziale e da un invecchiamento in botte di rovere per circa tre anni e mezzo, ben oltre il tempo minimo di 12 mesi previsto dal disciplinare. Al naso giunge un inconfondibile profumo di liquirizia e si presenta piacevolmente rotondo ed amabile, quasi “vellutato”.
Ecco poi la vera celebrità, ovvero “Il Ripasso”, uno devi vini veneti più conosciuti in assoluto. Anche qui si potrebbe citare una storia popolare. Leggenda narra che il Ripasso sia nato come tentativo di nobilitare il Valpolicella Classico, vino che, al tempo dei Dogi, era destinato per lo più ai contadini che lavoravano nei campi per produrre il Recioto riservato invece ai proprietari terrieri. Da qui l’idea: generare una seconda fermentazione del Valpolicella Classico Superiore grazie al riutilizzo delle vinacce del Recioto. Queste, infatti, rispetto a quelle dell’Amarone, risultano meno povere poiché la prima fermentazione dura circa 10-15 giorni e, quindi, ancora atte a cedere grandi gusti e sentori; la produzione di Carlo Meroni dedicata a questo vino è di circa 3.100 bottiglie. Addolcito nei profumi, grazie all’apporto del Recioto, regala le tipiche sensazioni dell’uva passita, mentre, al gusto, comincia a farsi strada il tannino.
Carlo oltre all’Amarone della tradizione, protagonista della linea “Velluto”, sperimenta anche un Amarone diverso. Nasce così l’Amarone 2018 della linea Carlo Meroni: invecchiamento di solo 3 anni e mezzo, rispetto ai 5 e utilizzo di botti di rovere di Slavonia di dimensioni minore e pari a 12,5 hl. 

Grande regalo è stato poi godere dell’assaggio della “Riserva del fondatore”, caratterizzata da 8 anni di invecchiamento e prodotta solo in annualità con uve eccezionali. L’annata 2012 porta le proprie caratteristiche anche nell’etichetta. I colori scelti in tonalità pastello richiamano, infatti, la sofficità dell’annata. Gli stessi sono poi un inno a tutto ciò che rende il vino una grande opera d’arte: l’azzurro dell’acqua, il giallo del sole, il verde delle piante in vegetazione, il viola del colore delle uve mature, il rosa della mano dell’uomo e, dulcis in fundo, il rosso, colore del vino.
In contrasto con l’austerità tipicamente abbinata all’Amarone, la scelta del colore pastello vuole anche suggerire allo sguardo di chi osserva che, forse, anche un vino di tale importanza non è poi così difficile ed impegnativo; può essere bensì anche amabile e accompagnare ugualmente le grandi occasioni. Insomma, un sogno liquido, un’occasione bellissima.