Perché bisogna credere in Colui che ha fatto il mondo – Le nuove frontiere della fisica moderna
L’occasione di questo scritto mi è stata offerta dalla circostanza del 95esimo compleanno, avvenuto il 15 ottobre scorso, di Antonino Zichichi, il celebre fisico il cui nome è legato ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare…
Leggi la prima parte dell’articolo:
Lo si è capito solo a partire dal 1905, allorché si è scoperto, con la Teoria della Relatività Ristretta (‘relatività’ perché la teoria si basa sul concetto che il tempo, la posizione, e il movimento non sono assoluti ma relativi, cioè dipendono da chi osserva; e ‘ristretta’ – o ‘speciale’ – in quanto riferita al fatto che essa è valida solo per sistemi inerziali, ovvero dove – in omaggio alle leggi di Galilei – in assenza di forze esterne, ciascun corpo nei confronti dell’altro permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, cioè moto in linea retta e a velocità costante), teoria di Albert Einstein (1879–1955), espressa con la celeberrima equazione E = mc² (dove ‘E’ rappresenta l’energia totale di un sistema, ‘m’ la massa a riposo di un corpo, ‘c²’ la velocità della luce nel vuoto al quadrato), equazione semplice e rivoluzionaria che fissa un punto di arrivo di risultati sperimentali, e che indica – per dirla con estrema semplificazione – che l’energia contenuta in un corpo costituisce la massa a riposo del corpo stesso. In altri termini, la massa di un corpo a riposo equivale alla sua energia potenziale. Fondamentale, nella teoria, nata per dare una spiegazione dei fenomeni legati all’elettromagnetismo, è la velocità della luce nel vuoto, che corrisponde a circa 300.000 chilometri al secondo, assunta come velocità costante, assoluta e insuperabile, e che diventa elemento decisivo per rendere la massa e l’energia equivalenti. Nella Teoria della Relatività Generale (‘generale’ in quanto riferita a corpi che si muovono a velocità differenti, come avviene nel cosmo con il sole e i pianeti), del 1915, Einstein si servirà, in relazione alla gravità, di ciò che aveva già acquisito nella “relatività ristretta”, vale a dire che Spazio e Tempo (come aveva scoperto teoricamente Hendrik A. Lorentz (1853–1928) studiando le famose quattro equazioni con le quali Maxwell, come si è visto, aveva sintetizzato la realtà elettromagnetica) non sono realtà assolute e separate (un pezzo di tempo e un pezzo di spazio, come Immanuel Kant – 1724/1804 – , il più grande filosofo della modernità, aveva sostenuto sulla scia di Isaac Newton – 1643/1727 – ), ma relative, e costituiscono, nell’universo, un’unica struttura, quella dello Spazio-Tempo.
Per avere un’idea di questa sorprendente realtà del mondo fisico, giovi ricordare che la vecchia kantiana distinzione tra spazio e tempo poggiava sulla convinzione che non poteva sorgere alcun equivoco quando si diceva che due eventi in punti lontani nello spazio avvenivano nello stesso istante, e in conseguenza di questa convinzione si riteneva che si potesse descrivere una topografia dell’universo in un dato momento in termini puramente spaziali. Alla luce dell’attuale visione dell’universo, con le sue dimensioni inimmaginabili, questo appare irrealistico, giacché la simultaneità degli eventi si è capito essere un fatto relativo a un particolare osservatore. Detto in altri termini, quello che per un osservatore è una descrizione dello stato dell’universo in un dato istante, per un altro osservatore è una serie di eventi che si verificano in momenti diversi e le cui relazioni non sono soltanto spaziali ma anche temporali. Insomma: in una prospettiva cosmica, ‘prima’ e ‘dopo’ sono concetti relativi. In uno stesso momento, non esiste nulla di simile per due diversi osservatori, a meno non siano fermi l’uno relativamente all’altro. In una prospettiva cosmica dire “adesso” non ha alcun senso: è un’espressione illusoria, che nasce da un’estrapolazione arbitraria della nostra esperienza, quella di un “presente” che non si estende molto più in là del nostro pianeta. Per determinare una posizione o un evento nello spazio, c’è dunque bisogno di quattro misure, le tre dello spazio (lunghezza, larghezza, altezza) più quella del tempo. Ecco perché è appropriato parlare di spazio-tempo: il ‘dove’ e il ‘quando’ sono due facce della stessa medaglia. Nella visione di Einstein la massa non è altro che curvatura di spazio-tempo, nel senso che la presenza di una massa (nel sistema solare quella del sole è di gran lunga la predominante) curva, cioè deforma, lo spazio-tempo, come una biglia di vetro in una superficie morbida: nulla, all’apparenza, di più astratto, ma che avrebbe potuto ricevere conferma sperimentale dal fatto che, in omaggio alla teorizzata curvatura dello spazio, la luce di una stella, che viaggiando nello spazio è destinata a seguirne le curvature, in prossimità del sole avrebbe subìto una deviazione a motivo della curvatura prodotta dalla massa del sole, in modo che sulla Terra un osservatore, per un’illusione ottica, avrebbe visto la stella da cui proveniva la luce in una posizione diversa rispetto a quella reale, con uno scostamento calcolato da Einstein con esattezza. Una predizione, quella del grande scienziato tedesco, che bisognava comunque provare.
Nel 1919, circa quattro anni dopo la pubblicazione della Teoria delle Relatività Generale, che, come tutti i cambiamenti di “paradigma” scientifico, incontrava grande scetticismo presso gli addetti ai lavori, una eclissi solare totale offrì l’occasione della verifica sperimentale. A tale scopo, l’astrofisico inglese Arthur Heddington (1882–1944) organizzò una spedizione nell’Isola di Principe, al largo delle coste africane, da dove il fenomeno si sarebbe potuto osservare in condizioni ottimali. Conoscendo, per osservazioni fatte di notte, la posizione delle stelle in quel periodo dell’anno nella porzione di cielo in cui il sole sarebbe “transitato”, l’oscuramento del sole per effetto dell’eclissi avrebbe consentito di vedere il cielo scuro dietro il disco solare e quindi di fotografare le stelle circostanti e poter così rilevare con precisione lo scostamento della loro posizione apparente rispetto a quella reale conosciuta e calcolare la misura della deviazione della luce. I calcoli fatti da Heddington e dai suoi collaboratori si rivelarono in linea con quelli teorici di Einstein. Fu così che la teoria della relatività generale divenne popolarissima. Ad essa sarebbero venute altre significative conferme sperimentali. Con Einstein lo Spazio non è più uno scatolone vuoto contenente materia, ma è esso stesso materia, che ondula, si flette e s’incurva; e la forza di gravità e lo spazio-tempo sono la stessa cosa. Le orbite dei pianeti attorno al sole sono dunque il risultato della curvatura (o deformazione che dir si voglia) creata nello spazio-tempo dalla massa della nostra stella, ciò che evoca l’immagine del sistema solare come di un gigantesco imbuto dilatato la cui natura curva delle pareti fa ruotare le “palline”, vale a dire i pianeti. Con la teoria della relatività generale di Einstein, dunque, la gravità di Newton, da misteriosa forza di attrazione diventa, in qualche modo, geometria: un effetto di curvatura dello spazio-tempo legato alla presenza di una massa, ciò che aprirà allo studio dell’universo orizzonti fino ad allora imprevisti e imprevedibili. Se Colui che ha fatto il Mondo – osserva a questo riguardo con sottile ironia Zichichi – si fosse basato sulle idee di Kant sullo spazio, non sarebbe potuta esistere in alcun modo la vita, che invece esiste perché, sulla base delle sopra descritte caratteristiche dello spazio e del tempo, la massa si può trasformare in energia, ciò che ci autorizza a pensare che non siamo figli del caos.
Le Leggi Fondamentali della Natura sono: l’insieme delle tre summenzionate Forze, vale a dire la Forza Gravitazionale, che, alla luce della scoperta di Einstein, si può definire “la scultura dell’Universo”; la Forza Elettrodebole, che risulta dalla miscela delle Forze Elettromagnetiche, alla cui funzioni essenziali si è già accennato, e le richiamate Forze di Fermi, dette Deboli (che costituiscono la valvola di sicurezza che impedisce che il Sole non si spenga né salti in aria), miscela resa possibile, come si è dianzi accennato, dall’esistenza di quella massa immaginaria di cui nessuno, fino a poco tempo fa, poteva supporre l’esistenza; la Forza Subnucleare forte, quella forza che nel nucleo dell’atomo tiene insieme i protoni e i neutroni, che potremmo definire “colla nucleare” (scoperta nel 1947), senza la quale, infatti, a causa dell’interazione elettromagnetica, che tende ad allontanare i protoni (carichi positivamente) dai neutroni (senza carica), il nucleo non potrebbe esistere (giova ricordare che nel cuore del nucleo dell’atomo si è scoperto un vero e proprio universo, governato dalle stesse leggi dell’universo cosmico); più le Tre Colonne Fondamentali (vale a dire le tre famiglie di particelle elementari, in ciascuna delle quali è presente un quark e un leptone).
Le frontiere della nostra conoscenza del cosmo sono ormai tali che Zichichi si sente autorizzato ad affermare che esiste ciò che egli chiama “Il Supermondo”, che può suonare fantascienza ma che è invece, a parere del grande scienziato, il futuro della fisica moderna, un salto epocale dell’intelligenza umana, una scoperta che diventa a suo avviso necessaria se si vuole far diventare realtà il sogno dell’umanità di tutti i tempi, vale a dire che il mondo nasce da una sorgente comune, ciò che comporta l’Unificazione di tutte le Strutture e Forze Fondamentali a cui si è accennato in precedenza. Questa visione scientifica si fonda sull’idea che se non esistesse questo “Supermondo”, se non fosse possibile questa Grande Unificazione, non si potrebbe spiegare l’esistenza di quelle sette forze naturali che ci sono oggi note e di cui si è parlato, che sono presenti sia nel mondo cosmico che in quello subnucleare, e che obbediscono alla stessa Logica. Tutto muove da quella Fisica virtuale nata nel 1932 con la scoperta della “polarizzazione del vuoto” (ciò che all’apparenza sembra un paradosso), che consiste nel fatto che un fotone (un quanto di luce) produce una coppia di elettrone–antielettrone che si annulla e ridiventa fotone: un fenomeno di quella realtà virtuale che la fisica moderna è chiamata ad indagare, e per la quale Zichichi usa l’immagine di un uomo nel deserto che parla con sé stesso. Ebbene, oggi, a parere di Zichichi, tutte le frontiere della fisica sono nella realtà virtuale, fatta di fenomeni invisibili, che non possono essere, per definizione, osservati in modo diretto, e tuttavia danno luogo ad effetti misurabili e riproducibili. Il “Supermondo” non è, dunque, nella visione del Nostro, un’ipotesi fantasiosa, ma la conseguenza logica dello studio rigoroso finora condotta dalla scienza sulla natura, e della cui necessità egli è in grado di fornire la formalizzazione matematica.
Coerentemente con questa impostazione, si può – ad avviso dello scienziato – così argomentare: se esiste “la particella di Higgs”, non potrebbe esistere la “Super particella di Higgs”? Se le dimensioni di quella realtà virtuale, vale a dire non visibile, che è il “Super Spazio” non sono quattro (le tre dimensioni dello Spazio – lunghezza, larghezza, altezza – più il Tempo) ma, forse, quarantatré (ciò che si può non solo ipotizzare ma formalizzare matematicamente, cioè in maniera rigorosamente logica), siamo autorizzati a chiederci: se esiste il “Super Spazio”, perché non dovrebbe esistere il “Super Mondo”? E se esiste il “Supermondo” il primo esempio potrebbe essere, per l’appunto, l’ipotizzata “Super particella di Higgs”. Siamo in attesa di conferme sperimentali, anche se ci vorranno, come per la particella di Higgs, molti anni. Ma Zichichi non demorde: è un uomo senza tempo…Si tratterebbe, come per altre scoperte delle scienze della natura, di trasferire l’astratta ma rigorosa evidenza matematica nella concreta realtà fisica, rimanendo, in ogni caso, nell’Immanenza, non disturbando l’aldilà. Paradossalmente, quel che sappiamo del mondo fisico è molto più astratto di quanto non si potesse supporre. A chi però dovesse lamentare l’inutilità delle scoperte della fisica moderna, bisognerebbe ricordare che da questa astrazione ci viene una grande potenzialità pratica. Una delle tante scoperte fatte dal grande fisico siciliano è aver dimostrato che il protone – che insieme al neutrone, suo fratello gemello sia pure con carica elettrica neutra, costituisce il nucleo dell’atomo – che era stato considerato, al pari dell’elettrone, una particella elementare, ossia fatta solo di sé stessa e quindi priva di struttura, possiede in realtà una struttura cosiddetta “tipo tempo”.
Il protone e il neutrone, che insieme all’elettrone costituisce il tessuto dell’intera realtà della materia, contengono invisibili universi subnucleari, ciò che nessuno aveva mai previsto e che ha aperto alla mente umana orizzonti impensabili fino a pochi decenni fa. Si è tentati di dar ragione a Gottfried W. Leibniz (1646–1716), filosofo e matematico geniale, quando pensava che un pezzo di materia in realtà è una colonia di anime. La ricerca sulla fisica delle particelle mette in crisi, insieme al linguaggio ordinario, lo stesso senso comune: si parla, come abbiamo visto, di “massa immaginaria”, “polarizzazione del vuoto”, “struttura tipo tempo”. Chi avrebbe potuto anche solo immaginare che le particelle di cui è fatta una sola goccia d’acqua fossero sorgenti inesauribili di fenomeni nuovi e di leggi rigorosissime? E chi avrebbe mai potuto concepire che le stelle si sarebbero potute studiare grazie all’indagine condotta su quell’universo subnucleare che sta dentro di noi, così come dentro di noi sta quella realtà strabiliante chiamata Supermondo a cui si è accennato? Il modo in cui queste nuove frontiere della fisica moderna si pongono con il tema del rapporto tra Scienza e Fede diventa, come si può facilmente immaginare, questione di capitale importanza. La complessità che esse evocano è tale che ci lasciano intravedere una realtà che l’intelligenza è in grado di cogliere e persino di formalizzare matematicamente in quanto logicamente consequenziali alle leggi fondamentali conosciute e studiate, ma che le categorie mentali umane, figlie dell’universo quadridimensionale, non riescono a rappresentare. Questo ci ricorda che la vera scienza non aspira a stabilire verità ultime e immutabili ma il suo obiettivo è di avvicinarsi alla realtà del mondo fisico con successive approssimazioni.
C’è, in ogni caso, materia più che sufficiente per credere che non possiamo essere figli del caso. Se fossimo figli del caso, o del caos, non potrebbero esistere le leggi fondamentali della natura, testè richiamate, che sono patrimonio del sapere scientifico e che, come si può evincere già da una loro sommaria illustrazione, obbediscono ad una precisa logica, cioè ad un coerente e ordinato svolgimento. C’è dunque una logica nella complessità, e il tutto non può non rimandare ad un autore. Altro che materialismo! Esso è smentito dalla complessità della materia: siamo in presenza di un’affascinante ricerca, quella della fisica moderna, che si configura come una metafisica della materia, o, meglio, una scienza che può fornire delle basi solide ad una nuova filosofia della natura, e che più della metafisica classica può rendere conto della grande complessità del mondo. Si può concludere che conosciamo troppo la materia per poter essere materialisti. E siamo appena agli inizi: nessuno scienziato può dire dove porterà quel gran libro aperto da Galilei circa quattro secoli fa.
Alla luce delle conquiste della fisica moderna, il materialismo, storico o scientifico che si voglia, appare come la negazione stessa della scienza. Del resto, come lo stesso Zichichi spesso ricorda, se non esistesse la Trascendenza, (cioè se avessero ragioni gli atei), e tutto si esaurisse nella sola dimensione dell’Immanenza, le massime conquiste della ragione rimarrebbero, in ogni caso, come abbiamo visto, la logica rigorosa teorica (la matematica) e logica teorica sperimentale (la scienza). Ma allora chi nega la Trascendenza, potendosi servire di queste due logiche rigorose dell’Immanenza, dovrebbe poter dimostrare – dimostrare in forma di teorema, o di scoperta scientifica, non semplicemente esprimere un’opinione! – che Dio non esiste, cosa che a nessuno è mai riuscito di fare, a meno che non si voglia sostenere che quell’idea di Infinito e di Assoluto che siamo in grado di concepire senza contraddizione e che avvertiamo (tutti, più o meno intensamente) ce la siamo data da noi stessi come illusoria autoconsolazione (ma sarebbe comunque un’illusione propria della nostra specie e l’idea della Trascendenza frutto del terzo Big Bang) e non ci viene invece da qualcun Altro, come impronta indelebile che il Creatore ha voluto lasciare nella mente della creatura perché lo cercasse e lo riconoscesse. Immaginare che dalla materia inerte di uno sperduto pulviscolo dell’immenso Cosmo possa esserci sprigionata per caso una coscienza in grado di comprendere le leggi dell’Universo è atto di fede superiore ad ogni fede in un Dio creatore.
Alla luce di questa ragionevole conclusione, è lecito pensare che l’ateismo, che è la negazione della sfera della Trascendenza della nostra esistenza, non è un atto di ragione, come pretende di essere, giacché ancora nessuno è riuscito a dedurre le Leggi Fondamentali della natura dal caos. L’ateismo è, semmai, un atto di fede: di fede nel nulla.
Le basi dell’ateismo sono dunque deboli e incerte. Esso muove assai spesso più da motivi psicologici che razionali (“Dio non esiste, godetevi la vita!’’ recitava pressappoco un manifesto fatto affiggere qualche anno fa da un’associazione di atei negli autobus di Londra). Zichichi sempre conclude le sue appassionate conferenze invitando i giovani ad essere ambasciatori della Scienza e testimoni della Fede. Nella quarta di copertina del più volte citato Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, si leggono due frasi che ben riassumono il suo pensiero: “Nata con un atto di fede nel creato, la scienza non ha mai tradito il suo padre. Essa ha scoperto – nell’Immanente – nuove leggi, nuovi fenomeni, inaspettate regolarità, senza però mai scalfire, anche in minima parte, il Trascendente” e “Non esiste alcuna scoperta scientifica che possa essere usata al fine di mettere in dubbio o di negare l’esistenza di Dio”. La Scienza è dunque la più grande conquista della ragione nella sfera dell’Immanenza, la Fede è la più grande conquista della ragione nella sfera della Trascendenza e la materia vivente alla quale apparteniamo, risultato del terzo Big Bang, è una straordinaria simbiosi di queste due dimensioni.
Il cardinale J.H. Newman (1801–1890), un convertito al cattolicesimo, amava ripetere che se un po’ di cultura ci allontana da Dio, molta cultura (e molta scienza, in questo caso) vi ci riavvicina. Zichichi, prima ancora che un professore, è un maestro: preciso ma non pedante, spesso ironico ma mai sprezzante, distaccato nel tono della voce ma percorso da passione intellettuale fin da quel suo sguardo pieno di luce mediterranea. Più volte presente nella nostra terra d’Abruzzo, si ricorda una memorabile conferenza tenuta all’Aquila nell’Aula Magna della facoltà di Ingegneria il 10 ottobre 2019, nonché la sua visita a San Pietro della Ienca, dove, nella sua qualità di presidente del World Scientist Foundation, l’11 agosto 2013 ricevette dalla mani di Pasquale Corriere, presidente dell’Associazione “San Pietro della Ienca”, il Premio Internazionale “La Stele della Ienca”, e dove, all’ombra rassicurante del santuario dedicato a San Giovanni Paolo II, toccando i temi che gli sono cari di Scienza e Fede, incantò letteralmente il pubblico presente.
Il grande scienziato ha più volte affermato, con la chiarezza che lo contraddistingue, che il cattolicesimo (la religione di Giovanni Paolo II e di Galilei) è la religione che più di ogni altra, attraverso i secoli, ha indagato nella sfera della Trascendenza. Si può affermare che il pensiero teologico cattolico sta allo spirito come la fisica moderna sta alla materia.
A questo straordinario uomo di scienza e di fede L’Aquila, e in particolare il paese di Assergi, devono molto. È stato il principale ideatore e artefice, a partire dai primi anni Ottanta, dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, realizzati in tempi rapidi anche grazie al fattivo interessamento di chi allora dirigeva la politica regionale. Si tratta del più grande centro sotterraneo del mondo in cui si realizzano esperimenti di fisica e astrofisica delle particelle e astrofisica nucleare. Posti a 1.400 sotto lo strato roccioso della montagna, i laboratori sono utilizzati da scienziati provenienti da tutto il mondo, impegnati in vari esperimenti internazionali. La montagna sovrastante, fungendo da schermo per la maggior parte dei raggi cosmici e riducendo così il rumore di fondo, assicura le particolari condizioni di “silenzio cosmico” che consentono di studiare i neutrini, così chiamati da Enrico Fermi (e già intuiti dal geniale Ettore Majorana) non perché sono i figli dei neutroni (nell’universo le parentele funzionano diversamente), ma perché sono particelle subnucleari dalla carica neutra, come i neutroni, ma dalla massa piccolissima e quindi in grado di attraversare indisturbate il cosmo facendo giungere fino a noi preziose informazioni sulla struttura di quelle gigantesche “candele a fusione nucleare” che sono le stelle (all’interno delle quali garantiscono il sistema di raffreddamento evitando che esplodano), nonché altre particelle che interagiscono debolmente con la materia riuscendo ad arrivare fino ai laboratori. Sarebbe auspicabile che il Comune dell’Aquila conferisse a questo grande fisico la cittadinanza onoraria.
Al termine di questa sommaria ricostruzione del pensiero di uno tra i più grandi scienziati viventi, che non si è visto spesso in televisione, forse perché non allineato al pensiero laicista dominante nella cultura italiana, piace allo scrivente, nato e cresciuto all’ombra del Gran Sasso, ricordare, anche per smentire la diffusa convinzione che tra gli uomini di scienza è raro trovare dei credenti, le parole riferite da Don Demetrio Gianfrancesco (1922–2004), parroco di Assergi, il quale, chiamato il 3 ottobre 1965 a benedire l’Osservatorio Astronomico di Campo Imperatore che in quel giorno si inaugurava, si sentì dire dal professor Massimo Cimino (1908–1991), siciliano anche lui, insigne astrofisico allora direttore dell’Osservatorio di Monte Mario, da cui quello del Gran Sasso dipendeva, queste parole: “Abbiamo bisogno di una bella benedizione, perché, senza l’aiuto di Dio, noi non possiamo far niente”. Quella cattolica è, tra tutte le fedi religiose, quella che ha dedicato la massima attenzione alla sfera trascendente dell’esistenza umana in termini di indagine razionale, filosofica e teologica. In questo nostro tempo di confusione morale, Zichichi ci ricorda che il motore del progresso è la scoperta scientifica, ma senza la fede in Colui che ha fatto il mondo, nessuna autentico progresso è possibile. In questa prospettiva, c’è bisogno di preparare appassionati ambasciatori di Scienza e credibili testimoni di Fede. Auguriamo ad Antonino Zichichi altri 100 anni di vita e di pensiero fecondo. Ci guadagnerà sia la Scienza sia la Fede, che, come questo modesto scritto ha forse contribuito a mostrare, sono entrambe doni di Dio destinati ad albergare nel cuore di quanti cercano la Verità.