Dove va la scuola? Dovrebbe andare dove va la ricerca oltre i saperi sperimentati e tradizionali. Fare entrare altri ambiti dentro i processi di apprendimento è necessario. Non deve essere un fatto una tantum.
Una scuola che cambia per una società in transizione. Un tema che sorge spontaneo per un tempo che diventa sempre più sradicante per identità e trazione.
Però la domanda che sorge spontanea sul piano istituzionale in riferimento alla scuola oggi potrebbe essere la seguente: dove va la scuola meridionale, pugliese, italiana? Va dove la porta la società? Probabile. Una società in transizione, sul piano didattico, metodologico e culturale cerca di fare a meno dei processi antropologici. Anzi, fa a meno.
Ha cambiato l’identità antropologica con una visione economica. Una idea di profitto. La scuola è ancora indenne a ciò. Merito soprattutto di moltissimi docenti che partono da un presupposto pedagogico nonostante la società spinge verso altri fattori e la tecnologia, ammodernizzando tutto, non tiene conto che dietro ogni macchina c’è l’uomo. Ma anche questo viene superato con il tanto discutere delle intelligenze artificiali. La scuola come si confronta con l’intelligenza artificiale.
Come risponde con il testo cartaceo ancora zeppo di notizie e fatti immensi in un groviglio di legami e di appendici consegnati agli alunni e si docenti. Abbiamo una classe di docenti in gamba che sanno districarsi in un compito faticoso in un rapporto politico tra una scuola-lavoro-futuro e una metodologia che si attraversa tra tradizione e innovazione.
Diciamola tutta. L’impalcatura della scuola è retta dalla forza docente (per verità non tutti i docenti). Ma la scuola allievi-insegnanti ha superato uno scoglio pesante che è quello di una cultura tout court che si barcamena tra le rivoluzioni innovative.
La Puglia compresa ha una scuola forte come tutto il Sud. Gli allievi si portano a casa un bagaglio di compiti. I docenti impartiscono direttive precise e hanno impegno oneroso sia in termini didattici che culturali anche se non guasterebbe un costante aggiornamento. L’inserimento dei cosiddetti Tutor andrebbe però rincontestualizzato.
In che senso? Ci vorrebbero degli specialisti nelle varie argomentazioni. Il Tutor non può essere esercitato da un docente previo un breve corso. No. Deve essere uno specialista con un curriculum di provata esperienza ed esterno alla scuola. Soprattutto non dovrebbe essere un docente che insegna nella stesso Istituto scolastico.
Si tratta che il ministero, in tal senso, deve fare una scelta precisa e sottoporre la scuola a un confronto tra le culture e la scuola stessa. È una questione risolvibile. La scuola con i suoi docenti ha un compito preciso. Il rafforzamento deve giungere da altri ambiti prettamente scientifici e di ricerca. Mi sembra opportuno e
lineare. Non si possono caricare, se pur economicamente remunerati, i docenti di uno stesso Istituto.
Si deve andare oltre. Si darebbe più forza a tutti. Resta il fatto comunque che la classe docente è meritevole. Dove va la scuola? Dovrebbe andare dove va la ricerca oltre i saperi sperimentati e tradizionali. Fare entrare altri ambiti dentro i processi di apprendimento è necessario. Non deve essere un fatto una tantum. Ma costante e coerente. La scuola applica la didattica, le fasi di apprendimento, le metodologie e i saperi.
La cultura altra rafforzerebbe epistemologicamente le fasi precedentemente dette. Un fatto resta, al di là di tutto, ed è che la scuola ha una presenza docente abbastanza preparata. Ma per carità togliamo una volta per tutte la «metodologia» dei quiz per una scuola che ha bisogno di spessore culturale e non di nozioni culturali tout court. La scuola forte deve smettere di dare “giudizi” utilizzando con gli allievi, in molte occasioni, le «crocette».
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