Netflix ha recentemente pubblicato un documentario con il nome The Social Dilemma che racconta uno dei più significativi fenomeni dei nostri tempi: l’avvento dei social media e l’impatto sulle nuove generazioni.
Prima di entrare nel nocciolo del The Social Dilemma, è bene spiegare di cosa tratta il documentario a un livello più generale. il film esamina i vari modi in cui i social media e le società di social networking hanno manipolato la psicologia umana e cosa significa per la società in generale. Attraverso una serie di interviste con gli ingegneri della Silicon Valley che hanno progettato le tecnologie che ora temono, insieme a discussioni con vari esperti di tecnologia e psicologia, The Social Dilemma offre uno sguardo che apre gli occhi su un mondo che pochi capiscono davvero.
Il docu-drama intreccia due filoni principali: il primo è la narrazione filmica di una tipica famiglia americana e degli effetti che l’abuso della tecnologia produce sulle nuove generazioni, il secondo è l’insieme delle interviste condotte a personalità note nel mondo della progettazione dei social e ben addentrate nel gioco dei subdoli meccanismi di programmazione.
Nella pellicola sono discussi molti temi tra cui la vulnerabilità degli adolescenti procurata dall’eccessivo utilizzo degli smartphone e dei social network come facebook, instagram e snapchat, la velocità con cui sono diffuse le fake news, la dipendenza dai “like” e il meccanismo con cui vengono selezionati argomenti e contenuti da mostrare sulle piattaforme.
La cosa più terrificante è che a denunciare questi programmi sono proprio coloro che li hanno creati e che si sono pentiti. «Eravamo partiti con altre intenzioni, poi la situazione ci è sfuggita di mano». Uno di questi è Tristan Harris il co-inventore della posta elettronica di google: Gmail. Tristan infatti racconta che se n’è andato dall’azienda dopo aver tentato senza successo di convincere i suoi colleghi e i suoi capi ad assumersi la responsabilità di quello che stavano facendo: spingere l’umanità a diventare schiava di uno schermo portatile. «Se ti guardi intorno, hai la sensazione che il mondo stia impazzendo. Viene da chiedersi: è normale? O siamo tutti vittime di un incantesimo?». Il regista del documentario Jeff Orlowski ha messo Harris su una sedia, ha lasciato che argomentasse le sue preoccupazioni, inframmezzando la sua e le altre voci con una mini fiction girata in una casa americana allo scopo di evidenziare gli effetti dannosi dei social su due ragazzini. Lei, vittima del costante confronto con le coetanee e della ricerca del consenso su Instagram- il fratello che si perde su YouTube nel turbine del sensazionalismo e delle fake news, che cavalcano la predilezione dell’algoritmo per i contenuti divisivi e polarizzanti.
”Se il servizio è gratis il prodotto sei tu” è la frase rivelatrice del core business delle FAANG ( Facebook, Amazon, Apple Netflix eGoogle) che ricorre più volte nel documentario.